La pizzeria metafisica
Alla metà di giugno dell’anno 2001 mi trovai, per una serie di circostanze piuttosto insolite, ad assistere a una conferenza di teologia e filosofia religiosa all’Università Cattolica di Milano.
Un mio amico filosofo doveva partecipare e mi aveva -chissà come- convinto a seguirlo, forse anticipandomi alcune riflessioni che avevano acceso il mio appetito dialettico, vincendo la mia diffidenza agnostica.
Il relatore era un esperto di filosofia neo-tomistica e aveva tracciato, a mo’ di introduzione, un excursus sulle famose cinque vie di Tommaso d’Aquino per dimostrare l’esistenza di Dio. Con grande onestà aveva esposto anche in modo convincente tutte le obiezioni che i secoli successivi avevano mosso a queste presunte dimostrazioni e aveva infine proposto una possibile soluzione (che a me parve per la verità un po’ contorta) per far rivivere quella che secondo le sue parole era “la bellezza delle argomentazioni del dottore angelico”.
La mia attenzione vagava tra le vette Scolastiche con la curiosità di chi studia la psicologia di un pensatore avendo rinunciato a trovare dei saldi punti di contatto col suo pensiero.
Fuori, Milano viveva la sua vita, e forse avrei preferito vagare senza meta nei dintorni del grande Duomo, e mi apparve come curiosa coincidenza il fatto che a pochi passi da lì vi fosse un crocicchio denominato “le cinque vie”.
Mi venne voglia di uscire a riscoprire come era fatto esattamente il centro di questo incrocio, e anche di respirare l’aria di quelle strade piene di luce e di tutti i tipi di esistenze sensoriali, commerciali, musicali, librarie e umane. Mi sarei anche accontentato di percorrere i chiostri bramanteschi lasciando scivolare i pensieri sui loro praticelli verde chiaro.
Dopo la conferenza entrai con il mio amico in un ristorante piuttosto dimesso, in un vicolo poco frequentato e continuammo davanti a una pizza i commenti e le chiose a quanto avevamo udito.
A un tratto sfoderai un cavallo di battaglia agnostico, il pensiero che aveva espresso Buechner (ma in forma diversa anche Dostoevsky con Ivan Karamazov e numerosi pensatori laici): Dio non poteva essere sia onnipotente che buono, perché il dolore del mondo era inammissibile se fosse stato creato da un Dio che può tutto, e dunque può dare anche da subito la gioia ai suoi figli.
Il mio amico, che era un omone grande ai limiti del gigantismo, con un paio di occhialetti rotondi e una luce energica e buona negli occhi, mi stupì rivelandomi di aver esposto in diverse monografie il suo personale percorso religioso, e poi iniziò, come improvvisando:
“Immaginati nella mente di Dio: Egli possiede in sé tutti gli universi possibili, e di ciascuno di essi vede, in un infinito istante atemporale, tutti gli esseri senzienti generati e generabili. Ma dato che Dio -secondo la mia ipotesi- è Amore assoluto, Egli prova anche amore, (scorgendone l’inesprimibile preziosità), per tutti gli esseri possibili, anche prima ( ma usare l’avverbio “prima” è assurdo dato che si tratta di una mente superiore allo spazio-tempo) prima di generarli. Ama te, e ti pensa dall’eternità. Ora tu lo accusi di aver creato un mondo pieno di sofferenza, ma la domanda è: tu esisteresti, saresti lo stesso in un mondo esclusivamente paradisiaco?”
“Forse sarei migliore”
“O forse peggiore, ma non è questo il punto: il punto è che non saresti tu. Non avresti gli stessi ricordi, le stesse cicatrici, gli stessi difetti e i pregi che da tali difetti sono scaturiti. E lui non vuole perdere la tua esistenza”
Per narrare l’incredibile fenomeno che seguì sono costretto a riportare tutte le nostre nebulose elucubrazioni.
“Ma questo è molto tirato per i capelli.” dicevo io”Come se un padre giustificasse i dolori che ha causato al figlio dicendogli che altrimenti lui non sarebbe stato lo stesso o non avrebbe capito la vita. Un padre per di più onnipotente.”
“Mettiamola così: lui oggi stesso ti offre di rimediare: di rimuovere tutta la sofferenza che ha creato in passato nel presente e nel futuro: tu accetteresti? Ricorda che, modificando così la Storia, molte persone non nascerebbero neppure”
“Ormai la frittata è fatta ...credo che direi di no”
“Come frittata ammetterai che è ben riuscita no? Non capisci che ...”e qui il mio amico si alzò in tutta la sua imponenza”Non capisci che se ami anche una sola cosa di questo universo devi per forza amare tutto l’universo così com’è? Ciò che ami non esisterebbe senza queste leggi!”
Iniziai a pensare che la quantità di birra che aveva ingurgitato lo avesse proiettato in uno strano benché interessante misticismo.
Anch’io dal canto mio non mi sentivo del tutto normale. Se quel ristorante o pizzeria che dir si voglia fosse stato una nave da crociera forse avrei potuto capire il senso di instabilità che mi aveva colto: come se il salone fosse stato afferrato da una gigantesca mano e dolcemente appoggiato nell’oceano. Avevo una sorta di mal di mare privo di nausea, non del tutto sgradevole. Provai un acuto desiderio di guardare fuori dalle finestre luminose, dagli oblò di quello che iniziava ad apparirmi come un vascello.
Per fugare ogni dubbio devo sottolineare che sono astemio da più di vent’anni e nessuna delle mie sensazioni era dunque di origine chimica.
Chiesi al mio amico:
“Dunque questo è il tuo Credo?”
“Iniziai a capire che a fondamento del mio agire poteva esserci una e una sola cosa: l’Altruismo. Iniziai a capire che senza l’altruismo il mondo è orrendo e invece con l’altruismo vero, sincero, diviene bellissimo. Il secondo passaggio fu questo: capire che se si ha a cuore una filosofia occorre essere in tutto e per tutto coerenti con essa: mi segui?”
“Sì”
“Dunque se un pensiero, una convinzione, un comportamento sono stridenti, incompatibili, o anche solo di lieve ostacolo alla tua filosofia, essi dovrebbero essere rimossi dalla tua mente così come si scaccia l’idea di un fantasma giusto?”
Annuii avvertendo una crescente sensazione ambivalente: la sensazione di non sapere quasi nulla della vita del mio amico, di chi fosse realmente, e nello stesso tempo di sentirlo familiare come un fratello...
“Allora immaginiamo che io voglia essere un materialista, una persona convinta che il mondo sia un vortice di nanoparticelle mosse da leggi fredde e imperscrutabili: questa filosofia secondo te è compatibile con il mio nucleo fondante (cioè l’altruismo)? qualunque mia azione potrebbe essere accompagnata da questi pensieri: io agisco per il vostro bene cari esseri umani ma in fondo in fondo so che tutto svanirà nel vuoto. Mi impegno con tutte le mie forze per questo scopo... ma tutto sommato so che ogni cosa svanirà, e che la realtà è un nulla freddo che ci avvolgerà tutti”
Le luci che provenivano dalla finestra alle mie spalle sembrarono accompagnare le visioni dell’oratore divenendo opache per un improvviso passaggio di nubi.
“Non pensi” continuò “che la tentazione sarà quella di dire un solenne Chissenefrega e dedicarmi all’edonismo egoistico? A che pro costruire, a che pro amare se alla fine moriamo tutti e alla fine soffriamo tutti?”
“Beh” replicai atterrito”Ma il nostro agire può lenire questa sofferenza”
“Sì ma quando l’agire diventa più faticoso e impegnativo proprio allora apparirà il fantasma”
“Quale fantasma?”
“Il fantasma del materialismo: che dirà <Non metterci tutta l’anima in questa tua croce, perché tanto il tuo scopo verrà sempre e comunque distrutto dal tempo e dalle leggi>”
“Terribile”
“No, magnifico!! E sai perché magnifico? Perché abbiamo appena dimostrato che il materialismo associato all’altruismo è pura schizofrenia, mente scissa in due! Quindi se voglio essere altruista non posso essere materialista. Un albero si riconosce dai suoi frutti.”
“Quindi in ogni istante dobbiamo convincerci che il mondo ha un fondo spirituale buono ed eterno”
“Lo sapevo che avresti capito! Sei uno dei pochi che potevano capirmi”
Mi sentii lusingato,benché il mio agnosticismo fosse un po’ in pericolo.
“Ho scelto quindi l’altruismo come primo passo spirituale, perché l’altruismo è più allegro e positivo per la società. Questa scelta causa automaticamente l’esclusione del materialismo. Quindi il mondo non è e non sarà mai, nei miei pensieri, fino all’ultimo respiro, un vuoto susseguirsi di cause ed effetti. Sarà sempre un riflesso di una verità eterna e gioiosa, la cui legge è l’altruismo”
Mi fermai un secondo a riflettere e poi chiesi:
“ Quindi Dio esiste?”
“Come chiami la convinzione di una realtà spirituale che ti accompagna tutta la vita, che muove ogni tua azione, e che è per te il fondamento di ogni manifestazione fenomenica? Una realtà che è il fondamento della morale e dell’amore?”
“Tu hai scelto di credere in Dio ma in realtà credi solo nell’altruismo. Il fatto che le altre filosofie siano incompatibili con l’altruismo non significa che la tua filosofia sia invece quella vera. Potrebbe essere vero qualcosa che ci trascende completamente, che trascende ogni nostra comprensione: non materialismo, ma nemmeno Dio”
“Se ciò che ci trascende è qualcosa di freddo, che non ci ama e non ha nulla a che vedere con la nostra felicità, anche questa visione è contraria all’altruismo perché portandola nel cuore sarò sempre tentato di lasciar perdere tutti i miei sforzi: tanto ci attende quel freddo destino”
Ancora perplesso gli feci tuttavia i complimenti per la sua abilità dialettica.
Rispose che aveva allenato questa virtù in lunghi dibattiti con suo fratello, che era un vero maestro della difficile arte di pensare.
“Allora mi farebbe piacere conoscerlo!”
“Impossibile” disse lui “Non in questa vita. Morì durante la Grande Guerra”
Fui fulminato come dall’avvicinarsi di una verità. Dato che il mio amico non aveva molti anni più di me, era matematicamente impossibile che suo fratello avesse partecipato alla Prima Guerra Mondiale; nello stesso tempo ero convinto che il mio amico non mentisse.
E alcuni pensieri iniziavano a vagare come lontani pianeti nel mio cervello. Sapevo così poco del mio interlocutore: perché lo avevo sempre chiamato amico? e perché solo ora mi rendevo conto di sapere così poco dei suoi dati anagrafici? Dove abitava? Dove ci eravamo conosciuti? A cosa erano dovuti i miei vuoti di memoria?
Questi vuoti si riempirono all’ improvviso come fa il cielo con la luce dei lampi:
“Come si chiamava tuo fratello?” Chiesi tremando
“Cecil”
“Un fratello bravo nel dibattito, morto in guerra, di nome Cecil...queste cose le ho già lette molto tempo fa! ....Chi sei?”
“Chiamami pure Gilbert”
“Chesterton! Ora capisco tutto!”
E poi non sapendo cosa dire, chissà come mi affiorarono dei versi:
“O de li altri poeti onore e lume
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m'ha fatto cercar lo tuo volume.”
“Ma no, quale poeta! Sono solo un giornalista...”disse con un bellissimo sorriso.
Parlavamo ad alta voce incuranti degli altri avventori e il senso di instabilità che mi proveniva dal pavimento si accrebbe tanto che fui spinto da una curiosità irresistibile a correre verso il muro dove si trovava la finestra. Guardai fuori: era sparita la strada, c’erano solo nuvole, nuvole che si muovevano sotto di noi rapidissime.
Stavamo volando. Una pizzeria volante si levava su Milano portata da un vento smisurato. Tutto sembrava piccolissimo da lassù ma nello stesso tempo tutto, non soltanto la Madonnina svettante sul Duomo maestoso ma anche le minuscole verande dei bar, i marciapiedi, i cassonetti, i condomini a mille piani, le case signorili e i quartieri degradati, i chioschi, le auto, i tram, e la moltitudine che tutto abitava e riempiva di pensieri e di parole, tutto sembrava infinitamente prezioso e per nulla casuale.
Non ho più ritrovato il ricordo di quel che accadde in seguito. Non volavo più, ma non sapevo da quanto tempo fossi uscito dalla pizzeria, né sapevo come.
Ed ero solo, il mio amico era scomparso.
Solo e febbrile vagavo per Milano come un Ivan Karamazov nella sua Pietroburgo. Non vedevo i passanti, non vedevo il caffè che avevo ordinato a un bar e non sentivo nemmeno la mia voce che ringraziava e la mano che pagava. Vagavo tra le mie domande come un pesciolino in un maremoto. Ma perché allora il dolore?
E se il dolore non fosse davvero dolore? Se fosse qualcos’altro?
Davide Corvi 19/4/20
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