Commento al “Nada te turbe”

 Nel saggio introduttivo di Massimo Bettetini alle opere complete di Santa Teresa d’Avila si legge:

“Nelle pagine del Breviario che tenne tra le mani fino all’ultima ora, fu trovato il manoscritto con una delle sue più belle e sintetiche poesie: Nada te turbe,/ nada te espante, / todo se pasa,/ Dios no se muda,/ la paciencia todo lo alcanza./ Quien a Dios tiene/ nada le falta./ Sólo Dios basta”.


Nulla ti turbi, 

nulla ti spaventi,

tutto passa

Dio non cambia,

la pazienza ottiene tutto.

Chi possiede Dio 

non manca di nulla

Solo Dio basta. 


I primi tre versi potrebbero essere recitati anche da un buddhista: la percezione della Vacuità del mondo come supremo antidoto al dolore. Il quarto verso invece punta a quello che nella mia esperienza, quando ero un buddhista meno eretico, sentivo mancare quando meditavo su vacuità e compassione: un centro fondante che facesse da perno alla compassione, non facendola “annientare” dalla vacuità stessa (se tutto è vuoto e mutevole, che importanza può avere il benessere altrui?). 

Anche i mistici Sufi proponevano massime secondo cui “solo Dio esiste”, il resto è un sogno, mentre nella Bhagavad Gita Krishna consiglia ad Arjuna: "Buttati a capofitto nella battaglia, e tieni il tuo cuore ai piedi di loto del Signore". La battaglia, per un buddhista come per un cristiano, è la compassione,  l’amore fraterno, mentre i piedi di loto per un buddhista hanno a che fare con la vacuità, per i teisti con l’amore di Dio. Questo duplice comandamento mi fa risuonare nel cuore le due leggi di Gesù:


“Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo, poi, è simile: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti” (Mt 22, 37-40). 


Anche qui, da un lato lo stato mentale supremo (Unione con Dio/ Vacuità per i buddhisti) e la devozione verso l’Amore assoluto, dall’altro l’intuizione di come relazionarsi agli altri esseri.

Il quinto verso è ancora condivisibile con Buddha e con la paramita della pazienza, l’arte sublime su cui il Dalai Lama ha composto un bellissimo commentario a Shantideva.

Esaminando una famosa strofa di quest’ultimo pensatore, 


Finché dura lo spazio
finché ci saranno esseri senzienti
possa anch’io rimanere fino ad allora
ed eliminare le sofferenze del mondo

mi sembra di comprendere che una simile motivazione può sorgere solo se la Compassione è posta su un piano sempre, costantemente, superiore alla Vacuità, in poche parole se Mahakaruna diventa il mio Dio, il mio assoluto morale.

Ecco dunque quante religioni possono riconoscersi in questi stupendi versi, anche se poi l’idea di Divinità è molto diversa nelle differenti prospettive: per Teresa, non c’è dubbio, si trattava della Trinità.

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